domenica 13 marzo 2011

Dal Blog di Cristina Bocchetto

Intercultura, ovvero un’altra esperienza potente per la scoperta di sé (1) - di Cristina Rocchetto
Circa dagli 11 anni in poi, ragazzini e ragazzine entrano in una fase della loro vita altamente delicata: quella della preadolescenza, che li porta ad esperire i primi mutamenti fisici più vistosi, l’inizio della messa in discussione dei propri orizzonti abituali, la conseguente tendenza ad un comportamento potenzialmente vissuto come esasperante e problematico dai familiari

in cui noia, frustrazione, ansia, voglia di novità eccetera si mescolano tra loro generando una miscela di spesso difficile gestione da parte dei genitori - i quali, diciamo la verità, non sempre fino ad allora sono stati “disinteressati, disattenti ed indifferenti” come vengono fin troppo spesso dipinti nelle sbrigative risposte di chi conosce solo la facile retorica. Io ho già trattato questi temi dal punto di vista di alcuni neuroscienziati la primavera scorsa e non mi ripeterò: in questi miei nuovi articoli, più che parlare di teoria e di considerazioni scientifiche, mi auguro di fornire ai genitori in cerca di proposte alternative alcuni orientamenti stimolanti e concreti per offrire ai ragazzi soluzioni che rispondano al loro bisogno - profondamente naturale e fondamentale per la loro crescita, assolutamente non da svilire o ignorare - di novità, di scoperta, di sfida e di avventura. Così perlomeno io concepisco la mia attività di educatrice anche quando faccio “teoria”: un’attività che ha il privilegio di porsi a metà strada tra il “dire” di chi fa scienza ed il “fare” di chi vive sulla propria pelle i problemi di cui gli altri parlano. Ho quindi dedicato le mie due ultime uscite (vedere archivio) all’interessante progetto del “Campo Avventura”, una delle soluzioni specificamente rivolta ai preadolescenti e disegnata apposta per esporli ad un tipo di esperienza fatta in quanto parte di un gruppo di pari e rivolta alla riscoperta di un modo di vita più essenziale. L’idea sottesa si fonda essenzialmente sulla convinzione che un periodo di allontanamento dalle comodità materiali e (relativamente) dal gruppo di appartenenza abituale possa attivare quelle valenze creative della personalità interiore lasciate inespresse per privilegiare la scelta di altre azioni connesse allo stile di vita più elaborato proprio di una società iperprotettiva come la nostra, dove le relazioni dell’individuo con gli altri e/o con l’ambiente sono altamente previste, ed in cui i ruoli, predefiniti - nel caso dell’ambiente, addirittura dominanti a favore dell’uomo - poco spazio lasciano alla sorpresa (dunque anche alla sfida) come fonte di rischio, ma anche come stimolazione della nostra capacità di sopravvivenza oltre l’immagine che noi abbiamo di noi stessi - e che ci siamo formati appunto sulla base del nostro agire quotidiano. Programmi come l’”Isola dei Famosi” banalizzano ovviamente questi meccanismi fondati su un diverso bisogno di “autenticità”, che in ogni caso alcuni partecipanti testimoniano di aver esperito con intenso coinvolgimento emotivo. L’esperienza di full immersion nella natura può dunque scardinare e decodificare quanto noi diamo per scontato del nostro “saper o non saper fare=essere” grazie alla presenza di “oggetti” che quotidianamente ci circondano ed a cui facciamo inconsciamente riferimento abdicando la nostra capacità di trovare nuove soluzioni, ridisegnando continuamente il nostro modo di essere, ovvero di rispondere alle sfide esterne. E’ chiaro che la vita non può obbligare il cervello di un essere vivente alla continua ricerca di nuove soluzioni senza stressarlo: anche chi vive nei boschi prima o poi si formerà una forma mentis basata sulla (sua) routine. Qui stiamo però affrontando il discorso di “esperienze-limite” utilizzate come strumento di crescita o di presa di coscienza di sé che dir si voglia. Immergersi nella natura è perciò un modo per incontrare la “sfida” e l’”avventura”; ma non è “l’unico modo”: la si può incontrare anche incontrando la novità del non conosciuto, del “diverso da noi”. Ci sono ovviamente vari modi di scoprire l’esistenza del “diverso”, il quale molto spesso ci sfiora senza che noi lo notiamo: ecco il senso di portare i bambini della scuola anche primaria in visita negli ospedali, in qualche casa di riposo; di avere nelle aule compagni portatori di esperienze inusuali, eccetera eccetera… Qui stiamo parlando però di offrire ai ragazzi una possibilità “forte” di immersione prolungata in qualcosa di nuovo. Una delle maniere più stimolanti per incontrarlo autenticamente è organizzare per loro un soggiorno (non un semplice viaggio) all’estero. Offrire ai ragazzi la possibilità di un soggiorno all’estero significa quindi fornire loro di fatto un’altra maniera potente per mettere in dubbio il proprio universo culturale e valoriale attraverso l’incontro con “l’altro”. A causa della complessità di questa esperienza, solitamente anche più lunga della precedente full immersion nel bosco, la si preferisce rivolgere ad una fascia di età di ragazzi più grandi degli altri: si parla di minori dai 15/16 anni ai 17/18. In questo caso, il soggetto infatti non è più accolto in una comunità di soggetti simili a lui, ma vive l’esperienza traumatizzante dell’essere “minoranza”, “solo” (relativamente solo, e dovrò spiegare in quali termini ed entro quali limiti è prevista questa sensazione di “solitudine”) in un mondo diverso da lui e da ciò che prima conosceva quanto a lingua, abitudini e molti valori sottesi: un incontro quindi assolutamente non paritario, affrontato senza il rassicurante ausilio dell’esser “gruppo”, come invece era concepita l’esperienza del Campo Avventura. Lontano da ciò che è normalmente il suo modo concepire la sua “maniera di essere”, “riconoscendola” sino a darla per scontata, si innesca nell’individuo un potente meccanismo di crisi che lo porta a decodificare, dunque riconoscere prendendone coscienza, gli schemi di comportamento ed i valori sottesi abitualmente operanti nella sua normale quotidianità, oltre che, ovviamente, le proprie risorse interiori di sopravvivenza in questo caso prettamente “psicologica” (nei boschi, il gioco passava attraverso la sopravvivenza “materiale”, “fisica”). Ponendo in crisi gli schemi di azione e di giudizio (si parla di “shock culturale/valoriale) che utilizziamo quasi meccanicamente nell’ambiente del nostro quotidiano, queste esperienze attivano un tipo di riflessione e di ricerca di nuovi modi di relazione alla base di una presa di coscienza fondamentale di se stessi e del mondo dei propri valori capace di portare ad una ridefinizione totale dei propri orizzonti mentali. Il progetto “Intercultura” concepisce per l’appunto la “crisi” come privilegiato e potentissimo strumento di crescita, fornendo al giovane la preparazione, il contesto e la guida adeguati per affrontare e superare con grande arricchimento personale questa esperienza fondante per una personalità più aperta al dialogo con il “diverso”. Tra le varie associazioni che offrono la possibilità di organizzare un soggiorno all’estero, ho scelto di parlare qui del progetto “Intercultura” per due ragioni che vorrei sottolineare: sia perché esso si affida ad un’esperienza di lunghissima data, che affonda le sue radici nel periodo tra le due guerre mondiali; sia perché ad esso ormai si collega tutta una serie di specialisti che supervisionano ed elaborano anche speculativamente, attraverso studi e ricerca mirati, ogni aspetto dell’organizzazione, cosa che dà un certo affidamento visto che stiamo parlando di mandare ragazzi minorenni presso famiglie sconosciute e straniere. Io ho incontrato la responsabile di uno dei tanti centri locali ormai disseminati anche in tutt’Italia che, oltre a darmi delucidazioni e raccontarmi aneddoti di esperienze dirette di ragazzi e famiglie ospitanti, mi ha portato dei depliant che illustrano i concetti di base e gli obiettivi di questa associazione - depliant che io ho letto attentamente e che rivelano a monte di questa organizzazione una evidente grande ed aggiornata dimestichezza con principi e valori della più contemporanea educazione interculturale. Non siamo quindi neppure qui di fronte a nulla di improvvisato. Con immenso piacere ed apprezzamento, dunque, vi esporrò i termini di questa opportunità di esperienza nuova e formativa offerta ai nostri ragazzi (ed alle nostre figliole). Per essere esaustiva, ho dovuto dividere anche questo discorso in diverse uscite. Per oggi mi fermo qui e vi rimando al prossimo articolo. Cristina Rocchetto

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